Giovanna Bacci di Capaci riporta in auge Kienerk
Giorgio Kienerk La lettura (part.)
di Elisabetta Matteucci, da Il Giornale dell'Arte, 13 gennaio 2025
Nella veste di conservatrice del museo dedicato all’artista fiorentino, pittore, scultore e grafico geniale, la gallerista aspira a una proiezione nazionale della piccola realtà amata dai visitatori e molto attiva.
Giovanna Bacci di Capaci conosce il futuro marito Andrea Conti durante la frequentazione delle lezioni all’ateneo pisano. A favorirne l’unione sarà la volontà di realizzare un progetto di vita insieme, allietato dalla nascita di tre figlie, nonché il nutrimento di una viscerale passione per l’arte concretizzatasi nell’apertura a Livorno, alla fine degli anni Settanta, dello Studio d’Arte Andrea Conti poi divenuto Studio d’Arte dell’Ottocento. Ai due coniugi, in sintonia su scelte di vita e d’arte, si unirà di lì a breve il fratello e cognato Filippo Bacci di Capaci, fresco di studi universitari e determinato a portare il proprio contributo. Va letta in quest’ottica l’iniziativa da lui intrapresa di inaugurare nel 1993 l’apertura a Lucca di una seconda galleria, la Bacci di Capaci, affiliata a quella livornese. Nel corso degli anni i tre familiari, lavorando in due città diverse ma a stretto contatto, riusciranno a conquistare una posizione di rilievo nel panorama mercantile della cultura figurativa italiana del XIX e XX secolo. Nel 1999, dopo la prematura scomparsa del marito, con lodevole coraggio, affiancata dal fratello, Giovanna prende in mano la conduzione dell’attività seguendone gli sviluppi per circa un decennio. Risale al 2014 la fusione delle due precedenti realtà da cui nascerà una nuova creatura denominata 800/900 Art Studio.
Attualmente Giovanna Bacci di Capaci ricopre il ruolo di conservatrice del Museo Giorgio Kienerk (1869-1948) a Fauglia, antico borgo del contado pisano. Inaugurato nel 2008 all’interno delle ex carceri ottocentesche ristrutturate e adibite a sede espositiva grazie ai contributi ministeriali, esso si è costituito per via testamentaria dalla figlia Vittoria (1920-2013) che, ancora in vita, decise di destinare all’Amministrazione comunale un lascito comprendente gli archivi e la raccolta di opere di grafica, pittura e scultura ereditate dal padre. Insieme alla casa di Poggio alla Farnia, il Museo Kienerk costituisce una tappa significativa per la ricostruzione di un appassionato itinerario biografico sul pittore toscano.
Giovanna Bacci di Capaci, può fare un bilancio sulla gestione del museo in questi anni?
Il Museo Kienerk è una piccola ma preziosa realtà culturale che arricchisce Fauglia e il territorio delle colline pisane che hanno una lunga storia di convivenza con l’arte. Pensiamo ai fratelli Gioli che ricevevano gli amici pittori a Fauglia e ai Tommasi che soggiornavano a Crespina. È un museo monografico ma inquadra il panorama dell’arte a cavallo dei due secoli. Giorgio Kienerk è infatti artista eclettico: scultore, pittore, grafico geniale, con le sue innovative Maske. Allievo di Cecioni e di Signorini, parte dalla lezione macchiaiola per aprirsi al ’900: sperimenta il Divisionismo, partecipa al Simbolismo e all’Art Nouveau, inventa capilettera e alfabeti, realizza immagini pubblicitarie. Nonostante gli entusiastici commenti dei visitatori siamo ancora poco conosciuti a livello nazionale. Non abbiamo le aperture al pubblico sufficienti per rientrare nel novero dei musei di rilevanza regionale; riuscirvi sarebbe decisivo per la nostra crescita e visibilità.
Vittoria Kienerk, donna colta, arguta e carismatica, oltre a essere un’apprezzata storica dell’arte, docente e autrice di libri per ragazzi, è stata la custode della memoria paterna. È soprattutto grazie al suo spirito d’iniziativa e al suo entusiasmo che Fauglia può vantare un proprio museo. Ce ne racconta la nascita?
Vittoria ha riflettuto a lungo sulla donazione, donando ai faugliesi le opere del padre ha optato per un museo periferico. Ottenuti i finanziamenti, tutto si è svolto velocemente. Con Vittoria in testa nel ruolo di caposquadra ed Eugenia Querci ne ho seguito l’evoluzione, passo dopo passo. È nostro orgoglio aver realizzato la struttura e il catalogo senza gravare sull’Amministrazione. Attualmente sto lavorando per illuminare la figura di Vittoria, come donatrice, donna dalla mente curiosissima, dalla memoria di ferro e dalla fantasia inesauribile. Il bookshop si è arricchito di due volumi: La casa e il tempo dedicato a Vittoria e alla casa di Poggio alla Farnia da Eugenia Querci (autrice anche della monografia Giorgio Kienerk. 1869-1948, pubblicata da Allemandi nel 2001, Ndr) e la ristampa di Spazi d’inverno, un delizioso libretto contenente le memorie di Vittoria sull’infanzia trascorsa a Pavia.
Quali sono i progetti sul futuro, le aspirazioni nonché le sfide per mantenersi al passo con i tempi?
Siamo molto attivi localmente, presenti sui social e pieni d’idee, ma dobbiamo riuscire a ottenere i contributi della Regione per realizzare eventi salienti e mostre collaterali in grado di richiamare un bel numero di visitatori. Vogliamo continuare la serie dei «Quaderni Kienerk», iniziata con la mostra di Emilio Mazzoni Zarini, seguita da quella dei ritratti di Kienerk. Nel cassetto è già pronta una mostra su Silvio Bicchi, artista legato al territorio pisano-livornese.
A Bologna un affresco dei Savini, dinastia di pittori felsinei
Alfredo Savini, Candore
di Elisabetta Matteucci, da Il Giornale dell'Arte, 10 gennaio 2025
Un’antologica ripercorre in quasi cento opere la vicenda umana e artistica dei Savini, famiglia di pittori felsinei
Al Museo Ottocento Bologna è in corso fino al 3 marzo 2025 una retrospettiva curata da Ilaria Chia e Francesca Sinigaglia dedicata a una dinastia di pittori felsinei: i Savini. Il progetto espositivo, allineato alle precedenti indagini monografiche condotte dalle due studiose sulle figure di Carlotta Gargalli e Mario de Maria, rientra nel lodevole programma di recupero di personalità ingiustamente dimenticate attive a Bologna nel XIX secolo. Il costituirsi di gruppi familiari in cui, parallelamente ai vincoli di parentela, era trasmessa l’esperienza acquisita in una professione artistica, ha contraddistinto anche la storia dell’arte italiana dell’Ottocento. In molti Stati preunitari gli esempi si sprecano. Come non ricordare nel Lombardo-Veneto i Caliari, i Canella e i Ciardi? E ancora gli Appiani, gli Ademollo, gli Inganni, gli Induno e i Borsa. Nel Granducato di Toscana i Markò, i De Tivoli e i Signorini. E nel Regno delle Due Sicilie i Fergola, i Carelli, i Gigante e i Palizzi.
A Bologna, antica capitale delle Province Unite, ancor prima di Antonio e Giovanni Boldini, si distingue la famiglia Savini che nella persona del bisnonno Giacomo (Bologna, 1768-1842), del padre Alfonso (Bologna, 1838-1908) e del figlio Alfredo (Bologna, 1868-Verona, 1924) dominerà la scena artistica cittadina dal periodo neoclassico sino al secondo decennio del Novecento. La mostra presenta quasi cento dipinti tra capolavori e inediti provenienti da collezioni private e prestigiose istituzioni museali quali, tra le altre, la Galleria d’Arte Moderna «Achille Forti» di Verona. Lo stesso Museo Ottocento Bologna, presso cui si conservano opere saviniane, ha finanziato e coordinato i restauri di quelle conservate nei depositi del MAMbo, della Pinacoteca Nazionale di Bologna e del Museo Revoltella di Trieste. I discendenti con estrema generosità hanno messo a disposizione dipinti, documenti e fotografie dei tre pittori bolognesi. L’ambizione di presentare per la prima volta un’antologica contenente un focus dedicato a ciascun artista si è rivelata vincente.
Oltre a favorire la comprensione dell’affascinante affresco entro cui si è dipanata la loro vicenda umana e artistica, tale scelta è riuscita a farne emergere le singole peculiarità, permettendo al visitatore di seguire la narrazione dei diversi svolgimenti biografici correlati alla disamina degli indirizzi di stile. Analizzando le delicate vedute («Mollezza») di Giacomo che, dopo la formazione alla locale Accademia di Belle Arti e l’alunnato presso Vincenzo Martinelli diverrà uno dei paesaggisti più richiesti soprattutto per la decorazione d’interni di «stanze a paese», si comprende come nell’Italia centrale tale cultura figurativa sia stata condizionata da un tipo d’iconografia di ascendenza storico-letteraria. Raffigurazioni idealizzate, rispondenti a precise indicazioni di ordine compositivo e stilistico, destinate al mercato dei «souvenirs de voyage».
Alla metà del secolo esordisce il nipote Alfonso ottenendo positivi riscontri nell’esecuzione di soggetti storici connotati da caratteri romantici quali «Mario a Cartagine» e, tra gli altri, un soggetto tratto dalla Vita Nuova di Dante, «Io mi sedea in parte...» (1863), in cui emerge l’uso sapiente di colori pastosi e la resa di atmosfere languide, opulente, pervase di un sentore crepuscolare. Successivamente, l’artista orienterà la propria ricerca verso i soggetti neopompeiani e scene di genere d’impronta sentimentale come, ad esempio, «Nydia e Glauco», «Ultimi giorni di Pompei» e «La serenata», molto apprezzati dal mercante Adolphe Goupil. Avviato giovanissimo alla pittura, il figlio Alfredo prosegue la ricerca sulla figura e sul paesaggio che pratica attraverso rigorosi studi dal vero. I tempi stanno però mutando, complici le numerose correnti che, in antitesi al pensiero positivista, rivendicano una dimensione più spiritualistica dell’esistenza. Superata l’oggettiva descrizione della natura, il paesaggio diviene riflesso delle inquietudini e malinconie dell’animo («La raccolta delle albicocche») espresse attraverso una progressiva idealizzazione della forma, una semplificazione cromatica e una meticolosa grafia ideale per esprimere valori simbolici e mistici come in «Auxilium ex alto», «Pace. Tomba tra i cipressi» e «Candore».
Pointeau, macchiaiolo francese
di Elisabetta Matteucci, da Il Giornale dell'arte, 20 dicembre 2024
Al Museo Ghelli di San Casciano la mostra del pittore transalpino è un’occasione per ripercorrere le ricerche e gli interessi artistici dello storico dell’arte Carlo Del Bravo, che fu il primo a riscoprirne i disegni e gli olii.