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di E.D.B., da Il Sole 24 Ore, 22 agosto 2017

 

Appassionato, geniale, mai banale. Capace di ascoltare e provare grande gioia anche dalle piccole cose che effre la vita. Un mostro di cultura, lucidità e semplicità. Guido Rossi era fatto così. Il suo carattere forte ed estroverso poteva anche non piacere ma certamente non si poteva non ammirare l’intelligenza e la fantasia dell’uomo prima che del giurista. Grande difensore del capitalismo, fedele custode e garante delle regole del mercato ma, nello stesso tempo, capace di riflettere sui mali di un’economia contemporanea che amava definire autoritaria, troopo legata alla finanza, oppressa dallo sviluppo tecnollogico e non più rispettosa dello spirito liberal-democratico. Tanto da sentire il bisogno di rifarsi al Manifesto di Ventotene, unico modo per rilanciare il processo contro le diseguaglianze e i privilegi sociali. E poi l’ultimo tormento. Il timore per la crescita esponenziale della corruzione, vera malattia dle sistema politico nazionale e mondiale. Restano i grandi amori, la moglie Francesca e le figlie. E le passioni, Milano,  i libri, i quadri, il calcio. Con Rossi finisce un pezzo importante della storia economica di questo Paese. Certamente la parte migliore.

 

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